sabato 31 ottobre 2015

Lequilibrio: Barbera d'Asti D.O.C.G. Superiore 2011 - Montalbera


Non so proprio perché il marketing di Montalbera abbia ingaggiato una guerra con gli apostrofi, ma i creativi, si sa, amano farsi chiamare creativi proprio perché distruggono. Quelli di Montalbera hanno deciso di disintegrare l'apostrofo, roba vecchia, che sta là ma non si sente. Un orpello, insomma, inadatto a vini eleganti nei quali si deve sentire tutto e solo quello che c'è. Forse è così, a giudicare dal contenuto delle bottiglie, che va interpretata la scelta grammaticale. Sia come sia, i loro vini mi piacciono molto. Il Ruché Laccento si è guadagnato senza difficoltà uno dei miei migliori giudizi e rimane un indimenticabile. La Barbera Superiore Lequilibrio di oggi promette altrettanto.

Rubino tendente al granato, di trasparenza media e bella densità, si apre con un bel profumo ampio e elegante di ciliegia e mora, con note evidenti di spezie, cuoio e tabacco. Quando si assaggia stupisce: non è un vino lungo e protratto quanto il naso potrebbe far immaginare. Al contrario è rapido, scattante per acidità, pulito e molto elegante. Note di spezie, ancora di cuoio e tabacco e soprattutto di liquirizia esplodono veloci nella sorsata e chiudono senza strascichi con una trama tannica perfetta. Vino di classe e di fascino, una barbera non semplice per la complessità di aromi che offre, ma semplificata dal lavoro degli enologi che da un carattere di fondo austero e deciso traggono un prodotto che si beve con gradevole facilità. La bottiglia va via che è un piacere e può accompagnare con classe tanta della migliore cucina. Il mio punteggio di 89/100 non raggiunge però quello estremo di alcuni esperti, cui forse l'eliminazione dell'apostrofo fa un po' perdere l'equilibrio. 12€ ben spesi.

venerdì 30 ottobre 2015

Il più alto: Vallée d'Aoste D.O.C. Blanc de Morgex et de La Salle Rayon 2014



Un primato lo ha già d'origine. Viene dai vigneti più in quota d'Europa, dove l'aria è sottile e la fillossera non è mai giunta. Su piede franco e con minori necessità di pesticidi, lì dove è il clima stesso a proteggere dagli attacchi nocivi, fruttifica il prié blanc, vitigno autoctono valdostano coltivato esclusivamente nella Valdigne. 
La bottiglia di oggi, il Rayon, è prodotta dalla più significativa cooperativa locale, la Cave du Vin Blanc de Morgex et de La Salle che, date le caratteristiche estreme dei vigneti, può contare su un maggior numero di produttori che di ettari vitati e che si affida solo al priè blanc per dare vita all'intera sua offerta di vini.
Il Rayon è un vino che adoro da molti anni e che non mi ha mai deluso. Mi delude invece la nuova etichetta che trovo molto più banale e meno allegra della vecchia, oltre che meno in tema col nome.

Ma è questione di gusti. Piuttosto assaggiamo quest'ultima annata.

La trasparenza è quella dell'aria alpina, totale. Il colore tenue, quasi assente, con riflessi paglierini e verdognoli, diafano. La consistenza è da acqua sorgiva, leggerissima. Ma all'olfatto si apre un profumo intenso e sottile, molto fine e elegante, con i suoi ricordi di lieviti, di fiori bianchi, di frutta gialla, di erbe e leggermente agrumato, con quest'ultima nota un po' meno evidente di come la ricordassi in annate precedenti, dove dominava sulle altre sia nel naso che in bocca. All'assaggio si presenta fresco e leggero in una entrata di agrumi, poi si arrotonda elegantissimo nel finale. Possiede acidità e mineralità gradevolissime, coccola con la sua leggerezza preziosa e profumata. Un vino meraviglioso e inconfondibile, ve ne innamorerete di sicuro su semplici piatti di pesce. Il mio voto è di 88/100. Per un vino dalla coltivazione così estrema, il prezzo è piuttosto contenuto, 13€ circa in enoteca.

martedì 27 ottobre 2015

Un piccolo grande vino: Lazio I.g.T. Cenereto 2014 Trappolini



Dalle vaste tenute della finanza che danno origine al Nobile di Montepulciano Fattorie del Cerro, torniamo a vigneti di famiglia: la famiglia Trappolini,  viticultori in Castiglione in Teverina, nell'alto Lazio. Dalla tradizione contadina degli avi hanno sviluppato una bella azienda che produce ottimi vini dal prezzo molto contenuto. Il loro sangiovese in purezza, il Paterno, è un vino che ha meritato premi prestigiosi senza per questo montarsi la testa, un campione che  ci si beve per soli 15€. Altrettanto gradevole e speciale l'aleatico Idea, vino dolce ma non sdolcinato, ottimo compagno di meditazione dai profumi particolari e dal sorso mai stucchevole, ideale su crostate di visciole e ricotta.
Ma il vino di oggi è ancora più modesto e tuttavia validissimo. Il Cenereto si trova intorno ai 5-6€ in enoteca e, nella sua semplicità, è un grande compagno di bevute.
Da uve sangiovese e montepulciano vinificate in acciaio, ha un giovanile colore porpora, abbastanza comune e intenso, e un corpo di media densità. Il profumo è molto profondo per un vino così semplice, stupisce per ampiezza, ma non per complessità. È un bell'aroma, un po' giovanile e vinoso, su un'unica nota di frutta, di ciliegia matura su una morbida vena alcolica, ma piacevole e equilibrato. Al palato è morbido eppure fresco, estremamente bevibile, un po' rapido nel gusto ma con un godibile retronaso ammandorlato e un tannino ancora un po' brusco ma nobile, che si stempera in una persistenza decisamente lunga per un vino di fascia base.
In conclusione, è uno dei migliori compagni che ho trovato per la cucina di tutti i giorni, ottimo su saporiti ragù, primi piatti di sostanza, formaggi e piatti di carne schietti e semplici. Uno dei più azzeccati acquisti in bottiglia per i pochi euro che costa. Per me, 84/100 li merita tutti.

sabato 24 ottobre 2015

Un vino noto: Nobile di Montepulciano D.O.C.G. 2012 Fattorie del Cerro




Oggi parliamo di un vino piuttosto noto, uno dei prodotti bandiera di una grande realtà del vino. Tenute del Cerro è un gruppo che rappresenta cinque tenute agricole di vaste dimensioni che, per quel che riguarda il vino, assommano a ben 300 ettari di produzione distribuiti tra Toscana e Umbria. Si tratta di una grande azienda con dimensioni produttive, iniziative di marketing e piani industriali, sviluppati in ottiche moderne e globali. Tutto il contrario, insomma, dei piccoli produttori che tanto mi piace scoprire, quei coraggiosi artigiani del vino che coltivano con dedizione e orgoglio i loro pochi ettari di preziosa vigna. Vero è che la qualità può talvolta albergare anche in produzioni più estese e Fattorie del Cerro, una delle tenute del gruppo, rappresenta una delle maggiori realtà del vino Nobile di Montepulciano anche nei giudizi della critica.
Il Nobile di Montepulciano D.O.C.G. di fattorie del Cerro è un vino molto ben giudicato e spesso premiato. Per assicurarsi che i risultati derivino dalla validità del prodotto piuttosto che dall'ovvia potenza comunicativa dell'azienda, non resta che versarselo nel bicchiere. Ho a disposizione l'ultima annata, il 2012, forse un po' troppo giovane per poterlo apprezzare al meglio, ma tant'è.

Ha un colore rubino, di media trasparenza e dall'unghia tendente al rosa che ne testimonia l'adolescenza. Il corpo è medio, non troppo denso, ma il profumo è intenso e ampio di ciliegia e amarena con sentori floreali di rose e note molto sfumate di spezie e di smalto. Al sorso è subito fresco e secco, più amaro che dolce, rapido, vibrante e asciutto. Pulitissimo e affilato come un rasoio, lo scoccare di una corda di balestra, porta note finali minerali, quasi di polvere da sparo, sul veloce trionfo di amarena. Anche i tannini sono eleganti e asciutti e completano il profilo di un vino che è l'esatto contrario del vino "piacione", quello morbido, avvolgente, lento e vanigliato. È un bel vino deciso, elegante, sobrio e forte. 86/100 per i suoi 11€ di sicuro valore. La validità comunicativa dell'azienda che ha dietro e forse un assaggio a più lunga distanza dalla vendemmia, gli fanno guadagnare qualche punto in più nelle guide.


martedì 20 ottobre 2015

Pane al sorgo


Non c'è niente da fare, non so resistere. Appena scovo un prodotto nuovo devo provarlo. È stato più forte di me: quando la mia amica Valentina di mondo senza glutine mi ha detto "mi è arrivata una farina nuova", ho risposto "dammela" senza nemmeno guardare. Poi l'ho guardata, ho letto "farina di sorgo" e ho pensato "e mo che ce faccio?" e mi sono risposta "È ora di sperimentare un nuovo impasto per il pane".  Dal mio pomeriggio domenicale da piccolo chimico è emerso il filone in foto.

Ingredienti

250g di farina di sorgo
125g di fecola di patate
125g di amido di frumento deglutinato (farina revolution)
1 bustina di lievito di birra
400g di acqua
25g di olio
1 cucchiaino di zucchero
14g di sale 

Settacciate assieme la farina, la fecola e l'amido. Unite l'acqua in cui avrete sciolto il cucchiaino di zucchero e amalgamate ben bene. Aggiungete l'olio e infine il sale, continuando ad impastare per alcuni minuti. .
Disponete in uno stampo da plumcake e fate lievitare per circa 45 minuti.
Infornate in forno già caldo a 200°C per almeno 45 minuti.
Sfornate, lasciate raffreddare e mangiate!
Il risultato per me è stato ottimo, il filone è lievitato meno di quello al mix di semi ma la crosta era decisamente più croccante. Per gli amanti del pane integrale questa è la ricetta ideale. 
Buon appetito!

domenica 18 ottobre 2015

Un altro Cesanese: Hernicus 2013 Coletti Conti


La scheda tecnica dell'Hernicus non dice molto. Ma il vino sì!
Di cesanese ho già parlato altre volte. È un vino che può riservare gran belle sorprese a prezzi modesti e rientra per questo nel genere di bottiglie di cui tratto più volentieri. Se ci fate caso, i giudizi sui vini che vi racconto difficilmente sono lontani da un buon punteggio e di rado sono eccelsi, diciamo sopra ai 90/100. Dipende dal fatto che io i vini li compro, per berli prima che per parlarne, perciò hanno tutti un buon rapporto qualità/prezzo già alla selezione. Difficilmente eccezionali, perché le eccellenze in genere costano, difficilmente deludenti perché cerco di bere bene. Se nella mia lista c'è un po' di monotonia nei giudizi, siete però certi di trovare quasi tutta roba buona a buon prezzo. Non è un'ottima ragione per seguirmi?
Ma veniamo a noi, anzi al Cesanese del Piglio D.O.C.G. superiore 2013 Hernicus. Che è il prodotto base di Coletti Conti, azienda in quel di Anagni i cui proprietari vantano, in una città papale, ascendenze papali. Sarà vero? Certo è che gli ecclesiastici, come tramandato da tanta letteratura satirica ma anche da oggettive testimonianze, di vino se ne intendono e se ne sono sempre intesi. Sarà per questo che dove del vino hanno segnato la tradizione i buoni risultati non mancano, come nelle terre del frusinate, regno del cesanese.
L'Hernicus ha una certa classe: un bel colore rubino di media trasparenza e una densità da vino di buon corpo lo presentano subito, appena versato. Il profumo ampio e fine, forte di ciliegia e rosa, si stempera in note di spezie, pepe e lontano chiodo di garofano, e termina in appena accennati idrocarburi. È un vino che mi appaga moltissimo al gusto, per equilibrio e eleganza rari in bottiglie di questo livello di prezzo. Fresco nonostante l'alcol elevato, morbido nonostante la nota sapida, armonico. Tornano sapori di ciliegia e spezie, che al palato tendono al tabacco, alla liquirizia forte con uno spunto strano, evanescente... quasi di fragola. È un vino fine e potente, dagli aromi decisi, piacevolissimi e molto particolari che lo fanno riconoscere. Mi piace sempre, dalla prima volta che l'assaggiai, molti anni fa, su uno spezzatino d'asino, a Paliano, più o meno nella sua terra. In questa annata, 88/100.

sabato 17 ottobre 2015

Non a caso, Enotria: Cirò Superiore Riserva Duca Sanfelice 2012 di Librandi





Chi mi legge avrà capito che del vino amo anche quel suo rimandare all'antichità, ai miti e alle leggende. Quando una bottiglia, per un verso o per l'altro, a torto o a ragione, è capace di solleticare la fantasia e di farmi immaginare antica gente e antichi luoghi in una lunga tradizione di bevute e giorni rallegrati dall'uva, non posso fare a meno di godermela di più. Il Cirò Rosso Classico Superiore D.O.C. Riserva 2010 Duca Sanfelice, con un nome per esteso lungo quanto una quaresima, è uno di questi. Prodotto da Librandi, cantina di cui ho ben parlato in occasione di un'altra bevuta di gusto, viene direttamente dall'antica Enotria, la terra mitica di Calabria che dal vino prende il nome e che al vino dà vita, e riporta il pensiero a tempi lontanissimi in cui vigneti rigogliosi rappresentavano la felicità in terra. L'Enotria era il paese magico dove scorrevano fiumi di vino - in effetti, sembra esistessero veri "enodotti" per trasportarlo dalle colline ai porti - e la vita dei residenti era quella piacevole per antonomasia, sibaritica.

Oggi che gli enodotti sono sostituiti da gasdotti e che l'Enotria, raggiunta, forse, dal progresso o dal progresso dimenticata, ha perduto l'ubertosa ricchezza di un tempo, facciamoci un bel bicchiere di Cirò, il mitico vino olimpico Krimisa, in memoria di quei tempi antichi e arretrati in cui essere un sibarita non era ancora peccato.
Il Duca Sanfelice è un vino da non mancare! Una grande soddisfazione e anche a buon mercato, 10€ di ottima enologia. Di un bel granato con riflessi aranciati, trasparente, vivo e di buona densità, ha già l'aspetto del vino serio. Ma è il profumo che avvolge, penetrante, ampio e complesso, di ciliegia, spezie e pepe nero, con una nota molto particolare e persistente, leggermente muschiata, che ricorda gli aromi del sottobosco dopo la pioggia e un pizzico di ricordo di salamoia. Al gusto è un vino vivo, fresco ma rotondo, di buona acidità, dove la frutta rossa è accompagnata da toni secondari di liquirizia su una importante nota alcolica e il finale è lungo, su un retronaso ammandorlato e quasi fumè, e con un bel tannino vivace. È un vino molto piacevole e particolare, con toni suoi propri che lo distinguono e lo fanno apprezzare. Ci sono vini che danno tanta soddisfazione con poca spesa e questo è veramente un ottimo acquisto che raggiunge, a mio gusto ma senza temere critiche, gli 88/100. 

giovedì 15 ottobre 2015

Zuppa di fagioli, zucca e crudo di Parma.




Ancora una ricetta con la zucca, prodotto tipico di questo periodo dell'anno. Io la adoro, non solo per il sapore, ma anche perché è ricchissima di vitamine, facile e veloce da preparare, e si adatta a molte ricette. Inoltre l'arancione mi mette allegria!
Qualche anno fa era meno conosciuta e più economica, ora la troviamo più frequentemente sui banchi del mercato e il prezzo è leggermente salito. Sarà l'effetto Halloween? Forse, in ogni caso oltre alle lanterne ci possiamo preparare dei piatti sfiziosi, salutari, e cosa importante per tutte le donne che tornano a casa la sera tardi, che possono essere preparati in anticipo. Non c'è niente di meglio che tornare a casa, scaldare la cena e servirla in cinque minuti.
Le serate si fanno sempre più fresche e quindi le cene sempre più calde, ecco quindi la prima zuppa della stagione: zucca, fagioli e cubetti di prosciutto crudo.



Ingredienti per 4/5 persone

400g di fagioli secchi misti
(Borlotti, cannellini, neri, con l'occhio...)
300g di zucca senza buccia
1 gambuccio intero di Parma
(Circa 300g di prosciutto pulito)
1l di brodo vegetale
150ml di passta di pomodoro
2 scalogni
1 rametto di rosmarino
4 cucchiai di olio
Sale e pepe qb
1 frisella a testa



Mettete a bagno i fagioli per almeno 6 ore.
Metteteli in una pentola con il brodo vegetale freddo e accendete il fuoco.
Portate a ebolizione e fate sobbollire a fiamma bassa per circa 40 min, o fin quando i fagioli non risulteranno cotti. Se il brodo si asciuga troppo aggiungete un po' di acqua bollente per continuare la cottura.
In un altro tegame, se lo possedete di terracotta è il massimo, fate soffriggere gli scalogni tagliati a fettine e aggiungeteci la zucca tagliata a cubetti di mezzo cm.
Aggiungete anche i cubetti di prosciutto ricavati dal gambuccio, che avrete precedentemente pulito e tagliato. Consiglio di comprare uno di quei gambucci che vengono venduti interi sotto vuoto a circa 1/3 del prezzo dell'affettato, in questo modo risparmierete molto.
Fate insaporire bene mescolando con un cucchiaio di legno e contemporaneamente annusate i profumi, mette allegria!
Quando la zucca si sarà ammorbidita aggiungete i fagioli con il loro brodo di cottura che si sarà ridotto dell'80% circa.
Lasciate andare per una decina di minuti.
Togliete gli aghi ad un rametto di rosmarino e riduceteli in polvere con un coltello da cuoco affilatissimo, dopodichè uniteli alla minestra.
Il sale lo sconsiglio, c'è il prosciutto, ma una bella spolverata di pepe e un filo di olio a crudo rappresentano la  ciliegina sulla torta.
Io l'ho servita su delle friselle, ma alcune fette di pane bruscato vanno bene lo stesso.
Buon appetito!

sabato 10 ottobre 2015

Due belle interpretazioni di vitigni sardi: Monica di Sardegna Santadi e Cannonau Nepente di Oliena



Oggi parliamo di vitigni regionali, uve che sono espressione di uno specifico territorio, la Sardegna.
Sia il monica che il cannonau parlano solo sardo, il loro nome evoca subito i caldi climi mediterranei della meravigliosa isola. Sono uve che non assurgono di frequente ai fasti dell'enologia più nobile, anche se qualche esempio di altissimo livello non manca, ma che regalano grandi emozioni anche in versioni disponibili perfino nella grande distribuzione. Come per le bottiglie del giorno, che potete trovare con molta facilità a prezzi ragionevoli, sotto ai 10€.

L'uva monica, importata dai monaci camaldolesi come dicono alcuni o dalla Spagna come dicono altri, ha trovato la sua terra promessa nell'isola e è coltivata in tutto il territorio sardo con risultati che variano molto, da vini semplicissimi e di scarso pregio a prodotti più interessanti. La cantina Santadi che produce Antigua è la cantina sociale del luogo, che ha sviluppato una produzione ampia ma di pregio nel corso della sua storia cinquantennale. Il suo carignano del Sulcis Terre Brune, ad esempio, è una delle bottiglie sarde spesso in lizza per premi enologici di rilievo. 
L'Antigua, un prodotto della linea base che non conosce il legno, ha un colore rubino-porpora e una sostanza di media trasparenza e buona densità. Il suo profumo, non timido come in molte bottiglie del suo prezzo, ha una bella dominante di ciliegia e di mora, leggermente vinoso e con accennate note finali grasse e eteree che ricordano l'oleandro. All'assaggio è piuttosto fresco e di buona acidità, di medio corpo e struttura, sapido, non troppo tannico e persistente ma con un bel finale asciutto dai toni ammandorlati che si stemperano molto bene sui cibi. Un bel vino per piatti di carne al sugo e per primi con ragù di carne e verdure. Potete trovarlo a circa 7€, a dispetto dei quali si guadagna un dignitoso punteggio di 84/100. Un affare!

Il cannonau è il vino dei nuraghi, di recente qualificato, con i suoi più di 3.000 anni di coltivazione e vinificazione, come il vitigno più antico del bacino del Mediterraneo, sardo che più sardo non si può. Sembra che le popolazioni nuragiche facessero vino prima che ogni altra cultura dell'area, fenici, greci, romani ne imparassero i meravigliosi segreti. Chissà. Dalla notte dei tempi ai giorni nostri, il cannonau è stata l'uva più diffusa nell'isola e oggi dà vita a bottiglie di ogni livello, dai semplici vini senza pretese a meravigliose etichette degne di gloria. Tra le varie sottodenominazioni della D.O.C., la bottiglia del giorno appartiene alla Nepente di Oliena il cui nome, nessuna tristezza che rimanda alla magica bevanda dei greci che toglieva sofferenza, fatica e memoria agli afflitti e ai feriti, è tutto un programma. Il Cannonau di Sardegna D.O.C 2012 Nepente di Oliena della Cantina Oliena è uno dei vini che bevo più spesso e rappresenta forse il campione dal miglior rapporto qualità/prezzo della sua denominazione. Per i 10€ che costa è un grandissimo vino, uno di quelli non solo da bere, ma da degustare a lungo con piacere. Con il suo colore granato, semitrasparente e dall'unghia rosa-aranciata e la sua lenta densità sul vetro, fa grandi promesse. Che mantiene tutte. Ha un naso ampio, di ciliegia, amarena, spezie, pepe nero, di una vinosa morbidezza glicerica, con note finali salmastre e una leggerissima punta di idrocarburi che ricordano gli aromi migliori di una sera d'estate a passeggio su un molo. 
Cemento e acciaio è tutto ciò che questo vino conosce, eppure è ricchissimo di profumi complessi. Quando lo si assaggia, non delude. È denso, di dolce morbidezza iniziale, caldo e avvolgente, ma finisce con un tannino piacevole e deciso in una chiusa dai toni di rabarbaro. Un vino che si beve ogni volta con grande gusto e che migliora nelle ore successive all'apertura, adatto a molti piatti importanti e che io trovo perfetto sui pecorini stagionati sardi e sui formaggi a pasta dura in generale. Un ottimo compagno di bevute che per me non vale meno di 87/100. Uno degli imperdibili.

lunedì 5 ottobre 2015

Aglianico del Taburno D.O.C. Fidelis 2011 Cantina del Taburno



La Dormiente del Sannio, adagiata in terra campana, sogna profondi sogni di vino da millenni. Uve elleniche (aglianico) e vini romani, come il Kapnios citato nella Naturalis Historia, amarone ante litteram, hanno estratto vitalità dalle oniriche essudazioni dei suoi versanti. Sono terre argillose e calcaree, che dopo alcuni secoli bui di relativo abbandono dalla tarda romanità al termine del medioevo, da ormai lunghe epoche danno origine a vini apprezzati e esportati. Più di cento anni fa nasce il consorzio agrario di Benevento e negli anni '70 la Cantina del Taburno, come risorsa sociale della zona, vasta per produzione di bottiglie di buona fattura e di prezzo vario ma mai eccessivo.
Sarà per il carattere robusto e potente, sarà per quel suo nome che evoca l'antica enologia mediterranea e omeriche bevute, a me l'aglianico è sempre piaciuto molto in abbinamento ai formaggi a pasta dura, a quei pecorini e caciocavalli di altrettanto mitologica memoria. Cacio, olive e vino... e, se ne bevo abbastanza, posso parlare anche greco!
Così, su una selezione adeguata di prodotti caseari, ho stappato una bottiglia di Fidelis 2011, un aglianico di medio blasone e senza pretese di eccellenza, e mi sono lasciata trasportare ai tempi della scuola, quando quelle leggende e quella lingua, in assenza del vino, mi rimanevano ben più indigeste.
Il Fidelis è rosso rubino, non molto trasparente, non densissimo e leggermente tendente al granato nell'unghia. Il profumo non stupisce per complessità, ampiezza e profondità, ma porta buone note di ciliegia, pepe e spezie, con un finale appena accennato che ricorda l'aroma del fondo di cottura di uno spezzatino di manzo al sugo... un sentore che si riconosce, proprio leggero, leggero alla fine, probabilmente dovuto al passaggio in botte e al legno già utilizzato delle barriques. Al sorso è piuttosto asciutto e caldo, con un bel tannino secco e preciso, perfetto sul grasso sapore dei formaggi, e un finale non troppo lungo e leggermente ammandorlato che si stempera sulla pastosità dei pecorini.
Nel complesso è un aglianico di buona qualità e fattura, semplice e piacevole, non troppo lavorato e molto vicino alla caratteristiche proprie del vitigno. Prodotto generoso sui cibi, un po' meno da solo. 84/100 nel mio giudizio e 11€ sugli scaffali.

sabato 3 ottobre 2015

Nato dal fuoco: Etna Rosso D.O.C. 2013 Masseria Setteporte




Nera come la terra da cui germoglia, l'uva del nerello mascalese riceve la sua forza dal calore superiore del sole di Sicilia e da quello inferiore del fuoco sotterraneo che ribolle nelle viscere del più alto vulcano d'Europa. L'Etna Rosso che ne deriva è un vino che affonda le sue radici nel fertile terreno di lave sulle pendici della mitologica fucina di Efesto, dove smartellano ancora giganti da un solo occhio ma dall'infaticabile opera, e ne trae caratteristiche speciali di mineralità e di robustezza, un vino caldo e secco, dal corpo asciutto e scattante. 
Sul versante meno famoso per la viticultura etnea della leggendaria montagna, quello sud-ovest, a Biancavilla (CT),  Masseria Setteporte produce da anni vini in quantità limitata da coltivazioni incentrate sul nerello mascalese. La bottiglia di oggi, che ho scelto perché amo molto questo vino in altre interpretazioni, viene dalle loro cantine.
L'Etna Rosso Setteporte è di colore intermedio tra il rubino e il granato, trasparente e abbastanza fluido, un aspetto abbastanza tipico per questa D.O.C. Ha un bel profumo ampio di ciliegia e rosa in tarda fioritura con una forte nota minerale, quasi ferrosa e leggerissimi accenni di chiodo di garofano. Al gusto ha un ingresso pieno, equilibrato, pulito. È un vino di scatto, con buona acidità e mineralità, dal sorso fresco e deciso e un finale di tannini ben dosati ma piuttosto secchi e asciutti. Nel complesso è risultato molto gradevole e merita un bel punteggio di 87/100. Potete trovarlo in enoteca intorno ai 13€.