giovedì 31 dicembre 2015

Cicale di Mare al profumo di arancia



Ingredienti

Cicale di mare 
Pannocchie 
quante riuscite a mangiarne
2 arance
olio evo q.b.
prezzemolo


Facile facile, veloce veloce e di grande effetto.
Prendete una pentola  per la cottura a vapore e versatevi acqua e succo d'arancia fino ad un livello di un paio di cm. Portate ad ebollizione, mettete il cestello con le pannocchie e coprite con un coperchio. Lasciate cuocere per 10 min.
Le pannocchie sono pronte. Ora, se volte essere gentili con gli ospiti, tagliate con delle forbicine per le unghie il carapace lungo tutta la schiena e toglietelo, senza levare la testa e la coda.
Fate un emulsione con olio e succo d'arancia e irrorate le cicale. Spolverizzate con prezzemolo e pepe se gradite.
Servite e buon appetitio!


Opposti e contrari: Blanc de Morgex et de la Salle 2014 e Garighe



Un post curioso per una cena dove si sono succeduti gli opposti, per nascita, e contrari, per carattere.
Avevo una bottiglia di Blanc de Morgex et de la Salle che aspettava da una settimanella di essere aperta e il cous-cous di crostacei e frutti di mare del 26 dicembre è stata l'occasione che non ha potuto mancare. Ma anche le mie figlie aspettavano l'occasione di aprire la prima bottiglia di Garighe delle feste (l'altra è quella riservata a questa sera), il loro quasi-vino preferito, e una torta di ricotta all'arancia, che ha seguito il cous-cous, non ha scatenate. E così, gli opposti si sono incontrati sulla tavola di S. Stefano.
Uno, fratello minore, estremo e più  spontaneo del Rayon, dalla vinificazione effettuata solo con tecniche antiche, nasce sull'alto dei monti, nell'ultimo nord dell'Italia, in valle d'Aosta, dall'autoctono prié blanc a piede franco; l'altro, neppure un vino ma solo un mosto fermentato, viene dal sud remoto delle coste dell'Africa, dalla brezza marina e dal sole di Pantelleria e nasce dallo zibibbo, vitigno che di quei climi cattura tutto il calore e i profumi, inebrianti e quasi esotici.
Ma versiamoceli e assaggiamoli.
Il Blanc de Morgex et de la Salle di Cave Mont Blanc è di una trasparenza estrema, incolore e impalpabile come l'aria in cui cresce, leggero e con solo una debolissima sfumatura paglierina. Porta con sé un grande profumo di lieviti e agrumi, intenso, con note di biancospino appena accennate e, al sorso, una bellissima acidità minerale, una freschezza assoluta, elegante e lunga, con decise sfumature di pompelmo. Un vino eccellente al quale, però, continuo a preferire leggermente il Rayon, che ha una complessità maggiore e porta in sé anche toni delicatamente più morbidi. In ogni caso un compagno meraviglioso per il mio delicato cous-cous di gamberetti, piatto ironicamente proveniente dalle regioni del Garighe.

Di questa seconda bottiglia, che dire? Non è neppure un vino e, con i suoi 4 gradi di alcol, è una delle passioni delle mie figlie che possono assaggiarne un po' più di un fondo di bicchiere. Il colore è tra l'oro e l'ambra leggera, e il profumo ampio dello zibibbo c'è tutto, fiori, frutta secca, fichi, datteri, ma con una leggerezza maggiore che nei veri passiti. E poi, una grande dolcezza, tipica del mosto dove la quota di zuccheri è ancora tutta da aggredire e trasformare in potenza alcolica. Insomma, una chicca e una curiosità, che pur non essendo vino ne ricorda aromi e sensazioni e che può far felici senza inebriare durante la degustazione di un buon dessert.

Il Blanc de Morgex si trova in enoteca intorno agli 11€, più o meno quanto il Garighe. 86/100 per il primo e nessun punteggio per una curiosità enologica come il secondo.

mercoledì 30 dicembre 2015

Toscana I.G.T. Poggio Badiola 2012 Mazzei



Durante il pranzo di Natale con i nonni, in compagnia di un maialino al forno, ho aperto questa bottiglia. Anche in questo caso, tanta invidia per la famiglia che lo produce, erede di una tradizione pluricentenaria di possessori di vigne nel centro del centro della Toscana, tra Siena e Firenze: terra di castelli, ricche e antiche magioni e, appunto, piccole badie, badiole, come quella che dà il nome a questo IGT che proviene dai vigneti che ne circondano una in quel di Fonterutoli, in terra di Chianti.
Il Badiola, sintesi di uve sangiovese e merlot, è uno dei vini più semplici della tenuta, ma non per questo di scarso valore. Un colore un po' strano, granato ma con riflessi rosa, lo presenta all'assaggio. Il naso è piuttosto ampio e di buona complessità, tutto improntato a note di frutta rossa, ciliegia e leggere spezie. Un tocco di pepe nero e note finali più eteree completano il bell'aroma. La scelta di abbinarlo alla succulenta grassezza della carne di maiale al forno è stata abbastanza azzeccata: al gusto è fresco e sapido, di buona acidità, sempre molto ricco nel suo tono di ciliegia. Solo il tannino, piuttosto sfumato e non aggressivo, più elegante che deciso, avrebbe potuto essere più evidente su un piatto del genere. Un vino che credo si sposerebbe molto bene anche con primi al ragù di carne, non eccessivamente corposo. Nel complesso una bottiglia molto gradevole per i suoi 12€. Il mio punteggio, forse non troppo preciso visto l'assaggio fatto durante il convivio, è di 86/100.

lunedì 28 dicembre 2015

Sauvignon altoatesino: Alto Adige D.O.C. Sauvignon Mock 2014 Cantina Bolzano



Per la cena della vigilia di Natale, tutta a base di pesce e di cui vi racconterò il menù nei post dedicati alle varie portate, dovevo scegliere qualcosa di adeguato. I piatti erano diversi per caratteristiche di gusto, alcuni molto semplici, come l'insalata di calamari, altri con toni agrumati e dolci, come l'insalata di gamberetti ai frutti di bosco, altri più strutturati e decisi, come i crostini vongole e broccoletti o il cous-cous di pesce. Insomma, per una cena con molti più piatti che bevitori, visto che eravamo in soli tre adulti di cui un quasi astemio, dovevo scegliere un'unico vino che tenesse il passo delle portate. Dopo averci pensato un po', ho scelto questo sauvignon altoatesino che prometteva buone qualità di freschezza, ma anche di aromaticità e struttura. Il risultato è stato decisamente positivo e la bottiglia non ha fatto rimpiangere scelte diverse.
Il Mock, che appartiene alla linea Premium dell'ottima Cantina Bolzano, è un vino di alta qualità. L'aspetto è diafano nel bicchiere, paglierino trasparentissimo e quasi incolore, ma forma stretti archetti e spande un intenso profumo di frutta gialla e agrumi, accompagnati dalla classica nota erbacea (la famosa foglia di pomodoro degli esperti) del sauvignon e da una complessa cornice di lieviti e crosta di pane. Sulle pietanze ha un gusto fresco, di buona acidità e di decisa mineralità, è elagante e pulito e sfuma con un leggero ritorno finale, appena appena accennato, di crema pasticcera. Un vino che mi sento senz'altro di consigliare nonostante il prezzo non proprio popolare, 15€ in enoteca. Per questa bottiglia, 88/100 e un ottimo ricordo.

Insalata di gamberetti e piccoli frutti


Anche questo piatto è legato a un ricordo di tanti tanti anni fa, più di venti, meno di venticinque, uno dei primi anniversari di findanzamento, l'emozione dell'amore visto con gli occhi di un adolescente, l'emozione di una cena fuori raramente concessa da genitori d'altri tempi, l'emozione di una spesa folle pagata dalle tasche di uno studente. Quello studente è diventato mio marito, quindi sono autorizzata ad abbandonarmi ai ricordi e a ripercorrere quelle emozioni.
Il mio menù, rigorosamente senza prezzi come si addice ad un ristorante di livello, riportava le stesse parole con cui ho titolato questo post: insalata di gamberetti e piccoli frutti, così non esitai ad ordinarlo, aspettandomi un'insalata di gamberetti e piccoli frutti di mare. A parte i complimenti del mio fidanzato per la scelta (lui aveva il menù con i prezzi...), la sorpresa non fu piccola quando, all'arrivo del piatto, scoprii che per piccoli frutti si intendevano frutti di bosco. Timido il primo assaggio, sfacciato il seguito. Fu tanta la sorpresa che il piatto mi restò impresso e la facilità della preparazione mi ha reso possibile riproporlo in occasioni seguenti.
La ricetta è semplicissima, bisogna solo saper cucinare i gamberetti: portate a ebollizione una pentola di acqua, spegnete il fuoco, buttate dentro i gamberetti non sgusciati, aspettate un minuto e scolate. Mescolate con i frutti di bosco e la valeriana e irrorate con un'emulsione di olio e arancia.
Se i vostri commensali sono particolarmente simpatici e volete rendergli la vita facile, sgusciate i gamberetti e togliete il filetto nero sulla schiena, poi assemblate l'insalta, altrimenti lasciate che ognuno pensi per sè.
Le dosi? Il mio è un consiglio, potete modificare a piacere:

Ingredienti per 2 persone: 
1kg di gamberetti freschi e non trattati
1 vaschetta di more
1 vaschetta di lamponi
1 vaschetta di mirtilli
50g di songino
1 arancia
2 cucchiai di olio


Il piatto può essere servito come secondo o come antipasto variando le quantità.
Buon appetito!

mercoledì 23 dicembre 2015

Un altro Lagrein: Alto Adige D.O.C. Lagrein 2014 Elena Walch



Altra puntata in Alto Adige, altro lagrein, altra blasonata cantina, Elena Walch, un nome che non ha bisogno di presentazioni tra gli appassionati del vino. Ma anche oggi, come faccio quasi sempre a meno di occasioni speciali che posso prendere a pretesto per spese folli, mi sono limitata a uno dei vini della selezione di base, il Lagrein 2014. Spesso i vini più semplici la dicono lunga sul produttore. Sono quelli che non nascono con troppe ambizioni, se sono buoni vuol dire che in cantina si lavora bene sempre e comunque. È il caso di questa bottiglia che, pur non esaltante, non delude affatto e mostra delle caratteristiche pregevoli e distintive. Il vino si presenta con un color porpora molto limpido ma compatto e un corpo non troppo pesante. Ha trama fine. Profumi di ciliegia e frutti di bosco abbastanza decisi ma, come tono distintivo, ci sento in primo piano la violetta, una nota floreale particolare e molto piacevole, elegante.
È un vino che si distingue all'ingresso per freschezza e acidità ben presenti, è sapido, pulito e non lunghissimo. Netto. E con una leggerissima sensazione quasi agrumata (?!)  che accompagna lo sviluppo delle note di frutta e di fiori percepite già al naso. Un lagrein che fa dell'immediata freschezza e pulizia il suo tratto distintivo. Mi è piaciuto. Non un vino memorabile, ma una bella interpretazione originale del vitigno, da ricordare per sposarlo a preparazioni di cucina che tendono alla morbidezza e alla dolcezza dei sapori, dove la freschezza del vino è piacevole contrasto. 12€ e 84/100.

lunedì 21 dicembre 2015

Arista arrosto in lardo di Colonnata




"Aristos!"  questa esclamazione di apprezzamento del cardinale greco Basilio Bessarione, pronunciata all'assaggio di un arrosto, durante un concilio ecumenico tenutosi a Firenze nel 1439, ha decretato il nome di questo taglio di carne di maiale per i secoli a venire. In realtà il povero Basilio, voleva solo dire che quello nel suo piatto era "il migliore" arrosto che avesse mai mangiato. I fiorentini presenti, un po'  allegri a quel punto del pasto, si invaghirono di questo termine e decisero che era più simpatico di "lombata", e la ribattezzarono arista seduta stante. Questo quel che si racconta. Ma chiamate pure questa carne come volete, il suo innegabile gusto resta inalterato, ponete però la massima attenzione al taglio. L'arista è lunga, c'è l'arista di costa e l'arista di lombo, la prima molto più tenera della seconda.
Come riconoscerla? semplice: dal colore. L'arista di costa presenta una tipica doppia colorazione: chiara al centro e più scura in basso e sulla destra (vedi foto). Non disdegnate  le venature di grasso, in cottura si sfanno e rendono la carne più tenera e saporita.
Se volete essere certissimi di avere un arrosto che si scioglie in bocca, fate così: infilate il vostro pezzo di carne in una sacchetto da congelatore e chiudetelo. Afferrate il pezzo di carne inbustato con entrambe le mani e sbattetelo violentemente e ripetutamente su un piano da lavoro alternando i vari lati e i due capi. Chi ha familiarità con la frollatura del polpo ha capito.
Toglietelo dal sacchetto (che serve soprattutto a non far schizzare il sangue della carne per tutta la cucina) e seguite la mia ricetta.




Ingredienti per 5/6 persone

1,2 kg di arista di costa in un solo pezzo
1 hg circa di lardo di colonnata
trito di sedano carota e cipolla
1 bicchiere di vino bianco
4cucchiai di olio evo
 qualche ago di rosmarino


Disponete le fettine di lardo tutt'attorno alla carne e legate l'arrosto con dello spago da cucina come in foto.
Scaldate un bel tegame antiaderente dalla forma allungata e versatevi l'olio. Quando avrà raggiunto una temperatura percepibile come alta da una mano tenuta ad un cm di altezza dal fondo della pentola, unite la carne e il trito. Fate rosolare l'arrosto su tutti i lati, sfumate con il vino bianco e coprite con un coperchio. 
Lasciate cuocere 45 minuti e, a quel punto, potete continuare la cottura nello stesso modo per altri 45 minuti oppure mettere il tegame col coperchio in forno caldo a 180° per un'altra oretta. L'ultima volta che ho preparato questo piatto ho seguito questo secondo metodo di cottura regolando il timer del forno perchè alcuni impegni mi portvano lontana dalla mia cucina e quindi dalla manopola del gas. il risultato è altrettanto buono.
Lasciate raffreddare la carne, tagliatela a fette con un coltello adeguato e rimettetela nel suo fondo di cottura. Scaldatela al momento di servire.
Consiglio vivamente di preparare questo piatto il giorno prima e lasciare riposare bene la carne. Tagliatela solo quando sarà ben fredda, eviterete che si sbricioli.
Ottima accompagnata da peperoni arrosto.
Buon appetito!

domenica 20 dicembre 2015

Dalla storia del vino toscano: Toscana I.G.T. Villa Antinori 2009


Un'appassionata come me non può non invidiare chi fa vino da centinaia di anni. Antinori è uno dei nomi più antichi dell'enologia italiana, una storia di vigne e di vini che vale un blasone. Parlare della loro azienda e dei loro vini è pleonastico, tanta storia, terre meravigliose, prodotti anche eccelsi. Quindi, non lo farò. Invece, mi aprirò questo figlio cadetto, il Villa Antinori, nome di quasi novant'anni ma corpo più volte ringiovanito dal mutare degli uvaggi e dei lavori di cantina. 
Questo 2009 mitiga la forza della sua metà abbondante di toscanissimo sangiovese con le caratteristiche di uve internazionali, il cabernet sauvignon, il merlot e il syrah, e compone il tutto con un affinamento in legni di varia provenienza che dura un anno. 
Un vino studiato, quindi, non il risultato diretto di uva e territorio, piuttosto il tentativo di prendere il buono da più parti e di comporlo in una bottiglia che regali emozioni policrome. 
Ora che l'ho degustato e poi bevuto sul mio spezzatino di manzo in casseruola, credo proprio di poter dire che il tentativo è riuscito. D'altra parte, una storia di così lungo raggio qualche garanzia deve pur darla. 
Il Villa Antinori ha una bella trasparenza luminosa che fa filtrare lo sguardo attraverso i suoi riflessi tra rubino e granato e si muove fluido ma non troppo veloce mentre lo agito. Profuma di ciliegia e amarena, pepe e cioccolato fondente, e ammetto che si sente anche quella punta di menta che dichiara il produttore nella sua scheda. È ampio e di buona complessità. L'assaggio sorprende all'inizio per una freschezza pulita, un po' in contrasto con l'aroma avvolgente di prima, ma si stempera subito dopo in note più morbide che tendono a una momentanea dolcezza. Infine, termina con la dovuta durata in tannini morbidi e ben integrati con note di legno e tabacco ormai tutt'altro che dolci.
Si sente che è un vino con più anime, ma tutte elegantemente concordi nel determinare un valido insieme. Una bevuta di buon livello sulla mia preparazione di carne rossa succulenta e strutturata che non mi ha fatto rimpiangere i 14€ dell'acquisto. 88/100.

sabato 19 dicembre 2015

Un gioiellino per tutti: Barco Reale di Carmignano D.O.C. 2013 Capezzana



Medici sì, se le medicine erano queste! Il Barco Reale prende il nome dall'antica tenuta di caccia medicea che fu la prima zona vinicola del mondo a essere normata in nome della qualità dei vini prodotti, già nel XVIII secolo. E se il vino è medicina, almeno per lo spirito, quello di oggi ha il prezzo di un farmaco generico, ma l'efficacia delle cure più attente. Del suo fratello maggiore vi ho già parlato con toni d'elogio qualche tempo fa, ma questo "piccolino" può rallegrare la vostra tavola quasi altrettanto, chiedendovi però meno della metà della spesa. Non si può fare a meno di prenderlo in considerazione tra le migliori bottiglie per rapporto qualità/prezzo, quelle che in casa non dovrebbero mai mancare per un buon bere anche sulla cena organizzata all'ultimo istante.
Le uve di questo Barco Reale sono il sangiovese e dosi decrescenti di cabernet sauvignon, canaiolo e cabernet franc, per un blend che affronta il legno grande per un annetto. I risultati sono di rilievo.
Versato nel calice ha un colore rubino perfetto e appare di buona trasparenza e media densità. Ha naso intenso e di piacevole complessità, con note di ciliegia, ma anche floreali, una punta di pepe e leggeri aromi di legno che mi hanno portato al ricordo del profumo di corteccia e foglie bagnate di un bosco autunnale... ma io sono una sognatrice.
Il sorso è equilibrato, tra una bella freschezza e una certa rotondità, e il frutto si stempera in un finale leggermente ammandorlato, con un tannino deciso e asciutto, piacevole e pulito. Mi è sembrato molto gradevole, una qualità sorprendente per un vino alla portata di tutte le tasche. Io lo trovo perfetto su una bella fiorentina alla brace, così pulito e essenziale, sulla quale acquisterebbe morbidezza e regalerebbe eleganza. 86/100 li merita tutti e per soli 8€! Un'ottima scelta.

domenica 13 dicembre 2015

Una veste elegante: Trentino D.O.C. Lagrein Riserva Pletter 2011 Cesconi

Purtroppo sono stata un po' lontana dal mio blog negli ultimi tempi. Sono stata presa da un progetto al quale sto lavorando e che spero di poter portare a buon fine in breve, sempre legato ai miei interessi gastronomici. Ma non per questo ho smesso di cucinare, bere, assaggiare e prendere appunti. Torno oggi con una bottiglia di  Cesconi, azienda trentina di cui vi ho già parlato quando vi ho proposto le mie impressioni sul loro Olivar, un altro dei loro cru.
La loro ultima bottiglia provata, il  Pletter, per me era una novità, mai bevuta prima. Mi ha intrigato, dallo scaffale, anche per la sua veste elegante, una bella etichetta sui toni del nero, del grigio e dell'oro e ho deciso di provarla per accompagnare una zuppa di funghi e castagne e dei piatti di salumi e formaggi, tra cui comparivano i sapori fumé del Sauris, del prosciutto di Cormons e dello speck altoatesino.
Nella interpretazione del Pletter, il lagrein si presenta di un color porpora denso e violaceo, più stretto e concentrato che nella maggior parte delle vinificazioni. Il profumo che si apre nel calice è di grande ampiezza, ma di complessità più limitata, piuttosto monocorde, su toni di mirtillo un po' vinosi, piacevole e con un leggerissimo ricordo di lieviti, ma non esaltante. Al gusto è pulito, fresco e secco, abbastanza elegante e con un retronaso leggermente profumato e termina, non breve, con tannini decisi e asciutti. Un vino di buon livello, ma che non eccelle a mio parere per rapporto qualità/prezzo. 85/100 per 18€, un prezzo al quale si possono trovare bottiglie più entusiasmanti.